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un racconto di Tarek Komin,
editing di Giulio Frangioni.
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Mi fermo, sbircio. È sempre lì. Passo oltre, sereno.
Fin da piccolo mi trascino dietro questo invisibile fardello di riti quando vado in bagno e percorro il corridoio invaso dalla notte. Oltre la porta a vetri della sala, il riverbero familiare del lampione dalla strada spettina l’ombra del crocefisso sul pavimento.
Christus patiens, lascito familiare di un misterioso antenato, forse vescovo o comunque alto prelato. In questa casa la religiosità sembra morta con lui, letteralmente secoli fa. L’eredità di quell’uomo, oscura come la sua figura, è questa statua lignea, lunga quasi un metro dal calcagno inchiodato alla corona di spine. È sempre stata appesa troppo in alto quasi a invitare, in un ironico paradosso, i ragni a tessere la tela sul suo capo reclinato.
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Christus patiens, presenza imprescindibile e stonata nell’arredamento postmoderno del salotto. Pare abbia aperto gli occhi a una vecchia zia in punto di morte. In effetti, dal basso, quelle palpebre color sciroppo d’acero, macchiate dal tempo come il resto del corpo scarno e bucherellato, sembravano quasi socchiuse. Da bambino, passandogli davanti nella notte, ho sempre affrettato il passo, timoroso. Me lo figuravo muoversi, tetro e inquietante. O, peggio, scendere dalla croce, spezzando il silenzio coi suoi scricchiolii legnosi, armato di chiodi arrugginiti.
Adesso, invece, lo sguardo ci cade come per caso.
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Nel bagno il lavandino gocciola.
Mi asciugo le mani e nello specchio scopro un sorriso lieve, una vaga nostalgia. Faccio fuggire la mia immagine verso la porta e spengo l’interruttore della luce. Solo tre ore di sonno prima della sveglia, prima del lavoro, prima del mondo che ti salta addosso, delle chiamate, delle mail, dei contatti continui e di altri inutili riti. Esiste un istante esatto in cui si cresce? In cui si cambia? Siamo noi che trasformiamo i pensieri o sono i pensieri che ci trasformano?
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Non ricordo quando ho smesso di avere paura.
Mi fermo, sbircio.
Sussulto.
La croce è vuota.
Sul divano una silhouette scura si sfila a fatica un cerchio dalla testa.
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tutte le fotografie di Ela Falone.
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