Precipitare

una raccolta di Erika Di Felice
editing di Stefano Tarquini.

  
Raccontami cose
anche una soltanto del tipo
quale punto del corpo
ti punge quando mi senti?
il ginocchio, la spalla
o sotto le unghie
    
raccontami quando ti sciogli
sai di miele o di vento?
sei riso o silenzio semibugiardo
un minimo termine
un soffio beffardo?
   
eri stesa 
quattro assi di legno legati
e lei con un occhio annebbiato
scherzava – chissà poi quanto
             sei sensuale mentre ti guardo.
             
             E io lo sapevo.

Raccontami amore
quando ti amavo attraverso le porte
e ti sognavo seduta con la schiena scoperta.

            Ma lei non c’era.
            Lei, si era spostata.
         
                              [Oh ma che brava vedi
                              non urla
                              neppure un sospiro
                              un velo di pianto.
                              Adesso proviamo
                              vediamo se riesco a sentirla
                              se strappo alla gola qualcosa
                              se continua a tacere sente dolore se esiste
                              se l’aria si infrange si spacca se grida.
     
                             E conficca nel buio una pinza
                             le tira le ossa
                             la carne
                             il sangue come vernice.
                 
                             Adesso non deve tremare
                             con il cucchiaio la prendo
                             la intaglio, tenero legno.
                                                 
                             E diventa una rana di mare
                             la bocca sbarrata nell’aria
                             non sospira non urla
                             si serra alla vita
                             il lenzuolo un sudario
                             certi strani ventagli
                             sotto la croce una donna svenuta.
                                                 
                                            galleggia

                                            ha sete

                                            poi freddo

                                            poi paura del mondo.

                                            Alla fine si arrende
                                            si lascia

                                            si spezza].

Ti prego, raccontami cose.

              Tu mi sai dire cosa vuol dire morire?
           

#

unsex me
    
rinascimi velo
di chissà quale Madonna caduta, io (lampo sulle tende a bruciare)

lascia che muoia lungo le strade
sotto le unghie di chi mi ha sfiorato. Sulle mie labbra mostrami il fondo.
    
Ritirati.
   
Affluiscimi
dai citoplasmi delle cellule morte/in attesa nella culla della paura mai vuota.
    
Sei tu parola sbozzata e radice
l’alfa senza l’omega
l’infinitesimo che non si conta, tu (mano sicura a devastare il mio campo), tu
    
sei il punto e l’a-capo
il mio sacrificio segreto.
   
Il resto, nelle dita di noi.
   
Io, né uomo né donna
in ginocchio
io solo fiamma ed inferno, solo tremendo peccato
   
al cielo dei morti un istante elevato 
un pio desiderio, tu
    
dammi la vita – tutto, tu
dammi la vita!

#

Una bomba.
Una mattina di luglio.
   
Le nove e cinque minuti.
    
Credo 
di averti spostato
di averti soffiato 
più in là
dove dovevi cadere
e io ti aspettavo
là sotto o là sopra
per vederti volare.
Precipitare.
    
Sarebbe stato leggero sentirti
vederti scagliare la roccia
con il tuo volto di gazza
e la nostra poesia bugiarda
legata tre volte alle mani.
     
Ti avrei raccolto - avrei voluto
a pezzi
           mille, distanti, dispersi
a uno a uno
con le labbra
le dita un po’ aguzze
eppure calde. 
Di sangue.
     
Ma, lo sai
niente ti ho chiesto
mentre mi facevo guardare.
Niente, anche meno
l'attimo prima
di farti morire.

#

Abbandona le ossa a te stesso
alle mani
abbandona i tuoi conti, abbandona
l'amore
guardami – opaca
senza vedere se
quello che sento chiamarmi
di te mi strappa la carne
    
non ti coprire
    
nulla mi ripugna di te
nemmeno la morte che scorre sottile
nemmeno questo pallido vento
ricorda – chi ci toccava
rimasto sbattuto ai deserti
nei vuoti 
nelle cose del tempo
    
e dimmi, alla fine
è poi questa la vita?
    

#

L’acqua
cade sulla ringhiera come sul fiore 
esce dalla neve e non sa
che non si ferma chi prega 
per la fine. Può 
sciogliersi il nome di cose – le gocce
il vento, gli occhi su un passante
tutto da tenere in piedi ancora,
forse
è stato questo. Essere nati,
imparare a camminare.

#

Perché se muori
non ti so dire
questo restare
tra me e me-con-te che va
a morire
poco lontano da dov’eri.
Se la morte esiste
sta sulle braccia
una bara bianca – lo sprofondo
di tutti i passi
se è da allora che io muoio
e mi giro e 
non so il tuo nome.

#

La voce del mare, indifferente
non sa più dire di noi distruzione
inganniamoci, allora
che la terra sia santa e 
sublime, anche il freddo che brucia
nella casa al mattino.
Non ha nome il mio nome.
Solo nella tua gola aspetta
la marea che chiama le cose. Del mondo
amo le tue spalle di roccia
calcare, dove porto a spezzare le mie già piegate 
su di te 
parole dal fondo del buio
dicono tutto concorre al bene, tutto
il tuo bene, mia sola pietà.

tutte le foto di Viviana Bonura.