Il sentiero delle rose

un racconto di Damiana De Gennaro,
editing di Anna Chiara Bassan.

A cosa pensi nelle mattine di primavera? Nuove foglie verde chiaro sono apparse in cima ai rami degli alberi di arancio. Coprono il verde più scuro delle foglie che c’erano prima. È la stagione del toro, l’aria ha odori freschi, spaventati. Dove porta il sentiero delle rose? Mia madre poggia le buste della spesa sul tavolo di legno.

Tra non molto sarà il suo compleanno. Ci viviamo intorno, sradicate. Il suo terreno vorrebbe trattenermi, ma io sono acqua e non voglio farmi prendere. Preferisco rovesciarmi, essere nuvola grigia, fuoco d’artificio. Lo dico al gatto che prende il sole e non mi guarda, lo dico a una delle mie divinità inventate.

È una domenica passivo-aggressiva di primo, secondo e dolce con la sorella di mio padre. Nessuno può soffrire le credenze dell’altro, e da sempre le donne di domenica masticano silenzi misti a cibi ipercalorici. La pasticceria mignon le distrae dall’evidente delusione delle loro aspettative o dalla tribale urgenza di dimostrare qualcosa.

Si racconta che a vent’anni la zia fosse una bellissima stronzetta frigida. Frequentava un medico che rispondeva a tutti i criteri della desiderabilità medio-borghese. Invece di sposarlo, però, a ventisette l’aveva lasciato da qualche parte, senza un alcun motivo apparente, lungo il sentiero delle rose.

Mia madre trova ancora oggi questa scelta da imbecilli e a questa attribuisce l’evidente infelicità dell’obesa vecchia zia. Il suo terrore più grande è che anche io imbocchi lo stesso sentiero maledetto, non smette di non dirmi il sabato mattina, mentre facciamo colazione intorno al tavolo di legno.

La sorella di mio padre a volte piange al telefono mentre racconta a noi nipoti dettagli delle vite dei santi di cui non ci importa niente. «L’altro giorno sai», mi dice in corridoio, «ho visto la tua», fa una smorfia, «ex-insegnante di latino e greco uscire dalla pescheria con un tizio basso e pelato. Non credi che sia disgustoso?

Pensaci, tesoro, avrebbe potuto essere tua madre». Ci penso e per un attimo lo trovo effettivamente disgustoso, ma non nel senso in cui la vecchia zia vorrebbe dire. «Prego ogni giorno per te, anche se tu non ci credi». Nell’abbracciarla ricambio il maleficio e l’accompagno alla porta. Alla vecchia zia vorrei rispondere così.

È proprio adesso che l’ex-insegnante non mi piace e che io non piaccio a lei che ho imparato ad amarla più perfettamente”. Ma anche se glielo dicessi, non cambierebbe nulla. Reagirebbe con la stessa indifferenza con cui io reagisco al melodramma delle vite dei suoi santi. Il gatto sbadiglia nella direzione del sole

e continua a non guardarmi. Credo che la zia abbia abbandonato a metà strada il sentiero delle rose. Le braccia vuote, il cielo vuoto, i palazzi vuoti devono averla spaventata così tanto. Mia madre, invece, ha evitato di imboccarlo. Da sempre la ricordo seduta al tavolo di legno, a fissare un punto indefinito tra le sedie e il pavimento.

Se le chiedevamo quale fosse il problema, che cosa le mancasse, lei diceva che non lo sapeva, che non c’erano risposte. È stata la mia divinità inventata a spingermi a percorrere il sentiero delle rose. È lì che mi ha lasciata per uscire una domenica mattina dalla pescheria, accompagnata dal tizio basso e pelato,

nel paese di provincia dove è nata e cresciuta e morirà. Le braccia vuote, il cielo vuoto, i palazzi vuoti devono averla spaventata così tanto. Fa molto freddo qui, fa un po’ paura. Io e il mio gatto ci addormentiamo al sole, ci lasciamo tagliare fuori dal mondo. È solo l’ombra delle rose a ricucirci al sogno.

tutte le fotografie di Bosco.

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