Nascita di una nozione

un racconto di Carlo Sperduti,
editing di Alessandro Tesetti.

Rosseggiava di stanchezza e alcol, a fine giornata in veranda – la chaise longue a disegnarmi meglio – quando Ester fece sentire i suoi passi dall’interno, in moto discendente, per le scale di legno decrepito.

Mi era appena spuntata una foglia sotto l’unghia del mignolo sinistro, come in quella stagione di solito non accadeva, così inglobai gli scricchiolii nella mia concentrazione, credendoli di quella, e solamente quando mi trovai negli occhi un’ampia gonna a balze un poco lisa, nel secondo piano della visione sfocata, a contornare una vita goffa, mi resi conto dell’esistenza di mia sorella, non avendone mai avuto notizia prima di quel momento, e sollevai quanto bastava il busto dolente dallo schienale.

M’informò, senza prefazioni di sorta, di essersi innamorata del suono di una sega circolare introdotta nel cranio di una puerpera. Aveva visto la scena, e aveva udito il suono, in una pellicola d’epoca al piano di sopra, ventidue secondi prima di scendere, eccitatissima nello scendere e riferirmi il questo è quanto.

Corriva, la mia gelosia scoprì le carte a parole d’intenzione deterrente: argomentai che il suono di una sega circolare introdotta nel cranio di una puerpera ascoltato in una pellicola d’epoca non può essere riprodotto nella realtà: pur volendo ricreare la scena in ogni particolare nel qui e ora, avvalendosi dei servigi del miglior tecnico del suono sulla piazza, cara Ester, le dicevo, quel suono non sarà mai lo stesso: potrai ascoltarlo di nuovo, le dicevo, solo guardando quella pellicola ancora e ancora, le vostre dimensioni separate e parallele, inincontrabili, straniere l’una all’altra; quel suono, Ester, non l’avrai; quel suono, Ester, non ti avrà, per quanto penetrante, le dicevo, Ester.

Coprii la sua risposta con un colpo netto di cesoia alla rigida base della foglia, che si udì rimbalzare a distanza, in qualche dove, con un debole tac sulla facciata.

Gli occhi chiusi e la schiena di nuovo abbandonata alla gravità, ascoltai i singhiozzi di Ester risalire le scale.

Non seppi più nulla di quella donna infelice fino a nove mesi dopo, quando mi giunse dal piano di sopra il singhiozzo, tutto sua madre, di una seghetta scraniante di tredici decibel virgola cinque il cui nome. 

tutte le fotografie di Rebecca Miglino.

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