22.03.2020

un racconto di Irene Catania.

Tempi maestri e insicuri,
i cui confini
raggirano la mia paura.

Agganciata alla disperata voce
che mi lega alle cose,
rimango imperturbata e stretta
a un profumo di ambra.

Sopra di me si effige un misterioso
quadro di morti e di respiri affilati;
la direzione del corridoio
si irrigidisce e la luce
vacilla alla camminata che
smette di nascondersi.

L’affisso della notte si disperde

veloce, veloce, veloce e
il suono di Dio prende
con veemenza il mio collo.

Il rumore della sirena offusca
l’ombra addensata al mio fianco sinistro,
immobile e gelata come un soffio.

Seppi muovermi terribilmente
in un lago di ghiaccio,
incatenata ai contorni della mia
teca fiorita, nascondendomi.

Ma dell’ombra non potei mai privarmi del suo sguardo.

La sua voce sprezzante mi raggirò
con destrezza, soggiogandomi
nella salda e delicata presa. Il rumore
del suo roco calore mi colse
vertiginosamente.

Mi mosse con facilità, passi
che detenevo diventarono suoi
e lo specchio si infranse
ben presto nella sua forma.

Le lampade sfavillarono ma mai
il suono della sua gelida mano
poté sfregarmi come il tatto nudo
del marmoreo pavimento.

Fissai con curiosità il labirinto
da lei offerto, stringendomi
con delicata premura l’anca.

Il suo rigido e inconsueto tocco
era più che mai aria da cui
riempire la teca, le cui mura
ben presto iniziarono a tremare.

“Lasciati” il bisbiglio del suo respiro mi fece sussultare.

“Non respirerei” dissi io sentendo dell’acqua scendermi lungo le guance, infilandosi frettolosamente nell’incarno delle mie labbra.

L’ambulanza impallidì con veemenza, il corridoio si strinse maggiormente attorno alla mia figura mentre l’acqua bollente saliva ai miei piedi. Dell’ombra non seppi più vederne i contorni, ma il suo tocco non mi lasciò mai.

“L’acqua ti inghiottirà.”

La sua futile speranza di destarmi mi sorprese, ma non come il suo desiderio di restare incolta nella mia teca, i cui fiori stavano ormai germogliando nei miei capelli.

“Se è per questo, inghiottirà anche te.”

Il tintinnante rumore del mio cuore si fece presuntuoso e il mio respiro divenne un morso con la paura: l’acqua accarezzò le mie mani e il corridoio si strinse attorno alle mie spalle. Il riflesso del viso di mia madre si sparse fugacemente dinanzi a me, la fredda sensazione dell’aria si fece rigida intorno al mio corpo immobile e incatenato alla presa dell’ombra. Conoscevo questa sensazione, ma invece di scappare da essa, come una volta avevo già fatto, la incarnai facilmente e con destrezza. Alzai lo sguardo e guardai l’immensa luce al di fuori della teca: infiniti rami, disperdersi attorno ad essa, si scagliavano contro il vetro. L’ombra divenne sempre più piccola e infinitamente nera, mentre la sua presa si rinsaldava. La guardai con premura socchiudendo gli occhi, mentre la sua forma si trattenne dal ramificarsi in altro o in altri: prese con cura il mio viso, destandomi dalla luce sfavillante che impregnava la mia mente.

“Ti lascio.”

Le sue parole raggiunsero così debolmente le mie orecchie, l’acqua che mi stava inghiottendo ferocemente, che non ebbi l’opportunità di arrendermi con facilità al fugace contatto delle onde e alla definitiva scomparsa dell’ombra. La sua figura si dileguò come mi aveva colto e l’acqua si fece spazio tra le mie insidie, raggelandomi con infinita tristezza e calore. Sentì con appanno gli sgriccioli della teca deformarsi ma non seppi aprire gli occhi per comprendere quel che stava accadendo. Il rumore incolto della sirena si disperse nella torbida acqua e i polmoni si riempirono finalmente di qualcosa, una sostanza che non sapevano contenere. Il respiro infisso ai lati della bocca si perse nell’acqua e il temuto suono del mio cuore rispose ferocemente, arrendendosi.

tutte le foto di Alena Zhandarova.

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