Pensione Miranda

un racconto di Guido Casamichiela,
editing di Alessandro Tesetti.

Ho parcheggiato vicino all’albero storto e sono uscita dalla macchina. Ho estratto dal bagagliaio pali e picchetti, poi, ho cominciato a cercare il sacchetto.

Io sono una che non trova mai niente.

Stavo per chiedergli dov’era, ma ho guardato dietro la scatola e il sacchetto era lì. Ci ho infilato dentro pali e picchetti.

È uscito dalla macchina anche lui e ha preso il sentiero in direzione della radura. Lo seguivo poco distante reggendo con tutte e due le mani il sacchetto. Il sentiero era stretto. 

Lo guardavo avanzare con lo zaino appoggiato su una sola spalla. Aveva una camminata molto rilassata. 

Era chiaro che quel posto gli era mancato. Ci veniva spesso con suo padre, prima dell’incidente. Io invece non c’ero mai stata: era il loro spazio.

Ma soprattutto, il campeggio, io, l’ho sempre detestato.

Da piccola, i miei genitori all’inizio di ogni estate mi dicevano: questa volta ti tocca la vacanza in tenda, ma niente paura, vedrai, ti piacerà. Dopo queste parole mi si riempiva subito il collo di macchie rosse, mio padre rideva e diceva: macché, anche quest’anno ti è andata bene, pensione Miranda! A sentire così, e a immaginare la signora Miranda e la sua pensione, il collo mi tornava bianco.

Lui deve aver capito a cosa pensavo. Senza girarsi, con una voce più dolce del solito ha detto: c’è un albergo a un chilometro, ha anche la spa, se vuoi siamo ancora in tempo.

Mi è venuta un gran tenerezza. Lui non è tipo da spa, non è nemmeno tipo da sapere esattamente cos’è, una spa. 

Avrei voluto lasciar cadere per terra quel sacchetto così pesante, raggiungerlo, appoggiargli la guancia sulla scapola e dirgli che andava bene così, che questa volta mi toccava la vacanza in tenda, e che ero contenta, che mi toccasse la vacanza in tenda, e che se non ci credeva poteva guardarmi il collo: bianco, bianchissimo.

Non ci sono riuscita. 

Io sono una che non trova mai niente, nemmeno le parole, e poi non l’abbracciavo dal giorno dell’incidente.

Quello che ho fatto è stato accelerare il passo, avvicinarmi a lui mentre procedevamo lungo il sentiero, reggere per un attimo il sacchetto con una sola mano e sfiorargli la schiena con la punta delle dita. Una cosa di un attimo.

Non sono sicura che se ne sia accorto, non si è girato finché non siamo arrivati alla radura, ma quando gli ero vicina mi è sembrato di notare che le sue ginocchia si piegassero ancor di più, come in un molleggio esagerato.

tutte le fotografie di Ludovico Succio.

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