L’ora dei corpi

un racconto di Graziana Patanè,
tutte le fotografie di Giuliana Bovenzi.

Era l’ora dei percorsi più lunghi, dei blu stinti, delle onde brevi. Obliqua, la luce di una primavera ammollava nell’oro le lenzuola stanche, un materasso e due corpi. Lei, sdraiata su un fianco, muoveva una mano sul petto di Lui e, mentre là fuori degli uccelli cantavano la fine della loro giornata, Lei disse che aveva avuto un’idea. Si sollevò, puntò un gomito e poggiò il viso sulla mano per guardarlo negli occhi e dirgli che dovevano rapirlo. Chi, chiese Lui. L’altro, rispose Lei. E perché dovremmo rapirlo, domandò Lui. Un sogno erotico, disse Lei. Alzò la mano che teneva poggiata sul petto e la portò sulla fronte di Lui per tracciare con un dito un meridiano che dalla fronte passasse attraverso le sopracciglia (Lui chiuse gli occhi a quel passaggio) e proseguì sul naso, sulle labbra, sul mento. Quando fu all’altezza del pomo d’Adamo riprese a parlare.

Il dito continuò a disegnare la linea immaginaria. 

Lei avrebbe chiamato l’altro per dirgli che un amico ricco era interessato alle sue opere. Lui sarebbe stato l’amico ricco. Lei gli chiese se gli andava bene recitare quella parte. Lui annuì. Il dito si fermò dentro l’ombelico. Sei sudato, disse Lei. Portò il dito alla bocca. Lo leccò. Dunque, visto che a Lui andava bene recitare quella parte, Lei avrebbe fissato un appuntamento nello studio dello scultore. Sarebbero andati insieme. Lui si sarebbe dimostrato interessato a un’opera. La nuvola in marmo, ad esempio. Avrebbe potuto metterla in giardino. Lui disse che difatti aveva sempre desiderato una nuvola in giardino. Lei disse che anche secondo Lei era un peccato che Lui non avesse ancora una nuvola in giardino. Avrebbe potuto metterla sulla sinistra, di fianco agli iris. Lui disse che avrebbe dovuto chiedere agli iris se se la sentissero di stare sempre con una nuvola a fianco. Eventualmente c’era lo spiazzo a destra, dove non cresceva nulla se non l’erba. Anche a Lei sembrò opportuno chiedere l’opinione alle piante prima di qualunque modifica, il giardino era pur sempre il loro spazio, ma disse che comunque destra o sinistra poco importava, perché non ci sarebbe stata nessuna nuvola, era soltanto una scusa. Lui disse che però l’idea di una nuvola in giardino gli piaceva, Lei disse che di questo passo non sarebbe riuscita a raccontargli il piano. Lui le chiese che fretta avesse, Lei rispose nessuna, se non la fretta di fargli sapere cosa aveva pensato.

Lui disse che allora avrebbero parlato della nuvola più tardi. 

Lei disse che Lui doveva immaginarsi nello studio dello scultore a chiacchierare con l’altro. Lei a un certo punto si sarebbe ricordata di una bottiglia di vino che aveva lasciato in macchina. Sarebbe andata a prenderla. Si sarebbe fatta dare dei calici o bicchieri. Lui le chiese se era proprio certa che nello studio l’artista tenesse calici e bicchieri e Lei si disse convintissima di sì, perché è risaputo che vino e arte vanno d’accordo, riflettono entrambi le verità. Mentre Lui e l’altro avrebbero chiacchierato della nuvola, proseguì, Lei avrebbe disciolto un sonnifero nel bicchiere dell’altro. Quando si fosse addormentato, Lui sarebbe andato a prendere delle corde in macchina, lo avrebbe legato, lo avrebbero caricato e portato là, sul letto dov’erano adesso. Poi, avrebbero aspettato che si risvegliasse, Lei avrebbe abusato dell’altro, Lui di Lei. Certo, quella legata non sarebbe stata Lei, ma quantomeno c’era qualcuno di legato, e a pensarci bene anche questa variante poteva soddisfare il suo sogno erotico.

Lui disse che pur ammesso che l’altro si lasciasse abusare, dopo avrebbero potuto finire oggetto di procedure legali. Aggiunse che era un dettaglio da non sottovalutare. Lei avvicinò le labbra a quelle di Lui e gliele morse. Poi gli chiese se davvero credesse che Lei non ci avesse già pensato. C’era anche un piano successivo. Disse che avrebbero dovuto procurarsi dei documenti falsi e fuggire. Avrebbero fatto perdere le loro tracce. Sarebbero andati in una città con un casinò. Avrebbero deciso insieme quale, di certo c’erano molte città con un casinò in Europa, anche se le venivano in mente soltanto Venezia, Malta e Monte Carlo. Lei avrebbe giocato e vinto una cifra considerevole. Avrebbero iniziato a girare il mondo. Dopo un anno sarebbero arrivati a Sumatra. 

Perché Sumatra, chiese Lui. Lei disse che non lo sapeva ma che Sumatra le era sembrato un bel posto, anche se poi non ne sapeva niente di quel luogo, solo che era in Indonesia e c’era stato lo tsunami, quindi, a pensarci bene, forse più che il posto l’aveva attirata il suono del nome, ma anche i suoni sono importanti per fare delle scelte. Comunque, disse Lei, a Sumatra avrebbe conosciuto un uomo e se ne sarebbe andata, lasciando Lui da solo. 

Lui chiese se dopo un rapimento, una fuga, il giro del mondo a Lei sembrasse corretto abbandonarlo a Sumatra. Lei disse di sì, che ci aveva riflettuto e le sembrava la cosa giusta da fare. Lui avrebbe creduto che Lei era scappata perché si era innamorata dell’altro, ma la verità era che Lei era scappata per paura. Lui chiese paura di cosa, Lei disse paura che a lungo andare avrebbe potuto cominciare a guardarlo con lo sguardo dell’abitudine. Disse che non voleva correre il rischio di far diventare Lui uguale a tutti gli altri, non se lo sarebbe mai potuto perdonare. Quindi l’abbandono andava fatto. Sarebbe tornata, sei mesi dopo, ma Lui non ci sarebbe stato. Però avrebbe trovato un rebus da decifrare che le avrebbe fatto capire la nuova destinazione. Lei avrebbe viaggiato per raggiungerlo, ma al posto di Lui avrebbe trovato nuovi indizi in un nuovo rebus. Disse che ci teneva moltissimo alla questione dei rebus. Era importantissimo che Lui li creasse. Lui chiese se non sarebbe stato più semplice lasciarle detto il nome della città o del luogo in cui si spostava. Lei disse che era assolutamente contro le regole. Lui chiese quali. Lei rispose quelle che stava scrivendo. Doveva creare dei rebus, era necessario. Ad esempio, se Lui avesse deciso di andare a Katmandu mentre si trovava a Tokyo, non avrebbe potuto lasciare detto a Tokyo che andava a Katmandu. Avrebbe dovuto creare un rebus che l’avesse portata a Katmandu. Lui si disse pessimo a creare rebus. Lei si disse pessima a risolverli, il che, a suo avviso, era perfetto. Ne sarebbero nati incomprensioni ed errori e si sarebbe venuta a creare una trama ricca e articolata. Magari il rebus che avrebbe dovuto portarla a Katmandu, Lei lo avrebbe interpretato come Puerto Natales e così mentre Lei lo avrebbe cercato in Cile, Lui sarebbe stato in Nepal.

Non mi troverai mai, disse Lui. Lei disse che lo avrebbe cercato per anni e anni, a volte lo avrebbe mancato di pochissimo, a volte sarebbe stata ostacolata da agenti atmosferici, risse, catastrofi, deragliamenti, voli cancellati, a volte avrebbe sbagliato la decifrazione dei rebus. Nei casi più disperati sarebbero intervenuti il caso o il destino (Lei non poteva dirsi certa che in fondo non fossero la stessa cosa) a riportarla sulle tracce di Lui. Anche il caso o il destino erano importanti in una storia, era necessario avessero un ruolo, Lei ne era fermamente convinta. Comunque, alla fine lo avrebbe ritrovato insieme a centinaia di diari. Anche Lei avrebbe avuto centinaia di diari. La cosa che non gli aveva ancora detto era che, dopo che Lei aveva lasciato Sumatra, entrambi avevano iniziato a riempirli.

Il resto del tempo lo avrebbero passato a leggerli, confrontando le avventure, tanto sarebbero stati entrambi vecchissimi ormai e non avrebbero avuto voglia di continuare a girare il mondo che oltretutto avevano già girato in lungo e in largo. Vista anche l’età che avrebbero avuto e i possibili problemi di vista, Lei raccomandava vivamente a Lui di non scrivere le memorie con quella calligrafia minutissima che usava di solito, ci avrebbero rimesso quel che restava dei loro occhi o della salute mentale a decifrarla.

Lei si disse convintissima di avere ideato un piano perfetto, mancava soltanto di vincere al casinò. Sarebbe stato bene che Lui cominciasse a procurare i documenti falsi. Lui disse di averlo già fatto. Aveva anche preso appuntamento per venerdì dal chirurgo plastico. Lei gli chiese quale venerdì, Lui le rispose tra tre giorni.

Lei gli disse che allora era bene che si muovesse anche Lei a fissare un appuntamento con lo scultore.

Lui le disse che però a ripensarci una bella nuvola in giardino l’aveva sempre desiderata. Lei gli disse che Lui con quella nuvola si stava proprio fissando. Gli diede un bacio per farlo stare zitto, prima di alzarsi e sedersi a cavalcioni su di Lui, e con le mani gli disegnò due meridiane sui fianchi. Lo guardò negli occhi per un attimo prima di cominciare a ripercorre con le labbra la linea immaginaria tracciata con il dito in precedenza. Stavolta la linea fu completata oltre l’ombelico mentre obliqua, la luce di una primavera bagnava rossastra i loro piedi e gli uccelli, là fuori, culminavano il canto della loro giornata. Era l’ora del cielo che brucia prima di mancare nella notte. Era l’ora dei corpi.

editing di Giulio Frangioni.

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