Dio Vagabondo!

Marsiglia con la pioggia aveva un che di magico.

Dio Vagabondo!, Andrea Seminario

un racconto di Andrea Seminario,
qui letto per STC dall’attrice Chiara Taverna:

Marsiglia con la pioggia aveva un che di magico. Non era proprio magico, in realtà, anche se qualcosa di soprannaturale c’era di sicuro. E non era nemmeno proprio pioggia, in realtà, ma come chiami quella coltre di nebbia liquida che anziché scendere decide di rimanersene lì, sospesa, una goccia dietro l’altra da terra fino su, chissà dove?

E non era poi nemmeno Marsiglia, ma Saint-Antoine, nella periferia nord abitata più da morti che da vivi.

Avenue de Roquefavour è una piccola via che costeggia il cimitero monumentale di Saint-Antoine, anche se definirlo monumentale è una più una perdita di tempo che altro. La strada, comunque, ne imbocca una più grande, Avenue de la Viste, proprio all’incrocio col tabaccaio.

“Quanti tabaccai avrò visto?”, pensò l’uomo. Non rispose, anche perché la domanda se l’era fatta da solo. Poi rispose “più di cento”. Gli parve una risposta scontata ma poi pensò che ormai l’aveva data, e poi parlava da solo quindi non importava a nessun altro. La casa stava proprio all’angolo tra Avenue de la Viste e Avenue de Roquefavour, sopra al tabaccaio, e al settimo piano del terribile complesso residenziale degli anni Sessanta, in piedi per miracolo, l’uomo ci arrivò per miracolo e col fiatone.

“Sei in ritardo”, disse una voce proveniente da dentro la casa, prima ancora che lui entrasse.
“Lo so”, rispose. “Pazienza”, poi entrò.

Lei stava seduta, sfatta, sul letto sfatto al centro di una stanza sfatta, tra vestiti sparsi a terra in mezzo a bottiglie di vodka e cartoni della pizza, birre, pacchetti di sigarette vuote e libri, mucchi di libri dappertutto. Ne avevano letti la meta in due, ma è importante circondarsi di libri perché non si sa mai che nei momenti di noia ci si metta a leggere e poi da una storia scritta chissà cosa nasce.

Può nascere davvero di tutto, basta saperlo immaginare.

L’uomo ispezionò frettolosamente il pavimento, come un segugio in cerca del tartufo. Il suo tartufo era un libro tra i libri, un ago in un pagliaio, una goccia nell’oceano, La Terra Desolata di Eliot, che trovò sotto un cartone della pizza con su scritto “Da Gino – Pizzeria Italiana” ma che, se lo ricordava bene, di italiano non aveva niente, faceva cagare. Prese il libro e lo mise nello zaino, quello non aveva bisogno di cercarlo. Non aveva mai avuto il bisogno di cercarlo, in effetti, perché non andava mai da nessuna parte senza. Una volta era andato a un funerale, pensò in quel momento (e sorrise), dentro non c’era niente, ma lo zaino l’aveva portato lo stesso.

Per scaramanzia, forse.

Mentre tirava su il libro e cercava il suo secondo tartufo (un pacchetto di sigarette pieno in mezzo a quelli vuoti), scrutava lo sguardo della donna che a sua volta scrutava lui come un gargoyle di pietra sul pinnacolo di una chiesa gotica come ce n’erano a migliaia disperse per tutta la Francia. Non aveva mai visto un gargoyle, però. I due andarono avanti così, furtivo lui e statuaria lei, finché la donna non parlò per prima di nuovo.

“Non resti stasera, vero?”
“Ho la faccia di uno che resta?”
“Non hai una faccia sola”.

“Che significa?”, fece lui, interrompendo per un attimo la sua frenetica ricerca sul puzzle intricato di oggetti che era il pavimento, e drizzò la schiena.

Silenzio. L’uomo sorrise.

Accolse il silenzio come si accolgono le risposte importanti, si rimise a cercare, come a far capire che ciò che cercava in quella conversazione l’aveva già trovato. “Ma una cosa la sai, di me”.
“Che non resterai?”. L’uomo sorrise, non rispose, si rimise a cercare, come a far capire che ciò che cercava in quella conversazione l’aveva già trovato.

Mancava il resto.

La donna si alzò di scatto dal letto e camminò verso il bagno lentamente, per far sì che lui la guardasse passare, bella come l’estate che finisce, malinconica e spenta, ma l’uomo non la degnò di un’occhiata perché gli bastava immaginarla. Non era bravo a vivere i momenti, preferiva ricordarli, come la foto sbiadita che teneva nel portafogli e che gli ricordava una donna di chissà quanti anni prima, chissà quante vite.

La donna nel frattempo si era tolta una parte del poco trucco che portava in viso e si era fermata così, con un occhio nero e un occhio rosa, a guardare le due facce della stessa persona che non riconosceva più ma era sicura di essere lei, si, era lei, ma era una lei che non conosceva, o forse l’aveva dimenticata dopo chissà quanti anni, chissà quante vite.

L’uomo prese lo zaino e si avviò verso la porta camminando lentamente anche lui, come a cercare di scambiare qualcosa con quell’anima rotta a meta chiusa dentro il bagno ad aspettare chissà cosa. Ma non sentì niente, forse perché era rimasto più niente o forse perché anche le cose grandi a volte passano di mano in mano e poi fuori dalla finestra senza farsi sentire o vedere.

Aprì la porta e se ne andò da dov’era venuto, esattamente com’era venuto: una tempesta estiva che nasce da quattro nuvole sparate a caso sulla tela del cielo e finisce con le barche rovesciate e i tendoni nell’acqua sporca del porto di Marsiglia.

La vide di nuovo, dalla collina appena fuori dalla strada, e si sentì infinito, connesso con ogni cosa e capì che tutto era uno e l’uno era tutto solo se accettava l’idea di non avere radici a cui aggrapparsi, come in un eterno turbine che non porta da nessuna parte se non in giro, in tondo, a vuoto per sempre come un Dio Vagabondo.

“Dio Vagabondo!”, pensò, stringendo tra le mani una pinzetta per capelli trovata per terra nella stanza.

Un ultimo tartufo prima di un nuovo salto nel vuoto, un ricordo sbiadito da portare per sempre nel portafogli accanto a mille fotografie scattate nel corso di chissà quanti anni, chissà quante vite. 

E di colpo, come la prima nebbia di settembre, l’estate era passata senza un lamento, portandosi via ciò che restava di loro.

Dio Vagabondo! è la nostra serata in perfetto stile Super Tramps. Qui alcuni racconti da leggere, per prepararsi alla prossima. E i video da vivere ancora, per ricordarsi com’è andata.

Giulio Frangioni – C’è chi dice (legge Sara Ranghieri)
David Foster Wallace – È tutto verde (legge Luca Pedone)
Giulio Frangioni – I vagabondi